Il carbonio è il costituente fondamentale degli organismi animali e vegetali, si trova nelle rocce come carbonato, nell'atmosfera sotto forma di anidride carbonica.
In questo racconto di Primo Levi seguiamo il percorso di un atomo di carbonio.
L'AVVENTUROSA STORIA DI UN ATOMO DI CARBONIO
Il nostro personaggio giace da
centinaia di milioni di anni, legato a tre atomi d’ossigeno e a uno di calcio,
sotto forma di roccia calcarea: ha già una lunghissima storia cosmica alle
spalle ma la ignoreremo. Per lui il tempo non esiste, o esiste solo sotto forma
di pigre variazioni di temperatura, giornaliere e stagionali, se, per la
fortuna di questo racconto, la sua giacitura non è troppo lontana dalla
superficie del suolo.
Giace, infatti, alla portata dell’uomo e, nell’anno 1840, un
colpo di piccone lo staccò e gli diede l’avvio verso il forno a calce,
precipitandolo nel mondo delle cose che mutano. Venne arrostito affinché si
separasse dal calcio, il quale rimase per così dire con i piedi per terra e
andò incontro a un destino meno brillante che non narreremo; lui, tuttora
fermamente abbarbicato a due dei tre suoi compagni ossigeni di prima, uscì per
il camino e prese la via dell’aria. La sua storia, da immobile, si fece
tumultuosa. Fu colto dal vento, abbattuto al suolo, sollevato a dieci
chilometri. Fu respirato da un falco, discese nei suoi polmoni precipitosi, ma
non penetrò nel suo sangue ricco, e fu espulso. Si sciolse per tre volte
nell’acqua del mare, una volta nell’acqua di un torrente in cascata, e ancora
fu espulso. Viaggiò col vento per otto anni, ora alto, ora basso, sul mare e
fra le nubi, sopra foreste, deserti e smisurate distese di ghiaccio; poi
incappò nella cattura e nell’avventura organica.
Fu dunque condotto dal vento,
nell’anno 1848, lungo un filare di viti. Ebbe la fortuna di rasentare una
foglia,di penetrarvi, e di essere inchiodato da un raggio di sole. Ecco dunque
che entra nella foglia, collidendo con altre innumerevoli molecole di azoto e
ossigeno. Aderisce a una grossa e complicata molecola che lo attiva, e
simultaneamente riceve il decisivo messaggio dal cielo, sotto la forma
folgorante di un pacchetto di luce solare: in un istante, come un insetto preda
del ragno, viene separato dal suo ossigeno e combinato con idrogeno.
Ora il nostro atomo è inserito:
fa parte di una struttura, nel senso degli architetti; si è imparentato e
legato con cinque compagni, talmente identici a lui che solo la finzione del
racconto mi permette di distinguerli. E’ una bella struttura ad anello, un
esagono quasi regolare. E’ entrato a far parte di una molecola di glucosio.
Il carbonio, infatti, è un
elemento singolare: è il solo che sappia legarsi con se stesso in lunghe catene
stabili senza grande spesa di energia, ed alla vita sulla terra (la sola che
finora conosciamo) occorrono appunto lunghe catene. Perciò il carbonio è
l’elemento chiave della sostanza vivente: ma la sua promozione, il suo ingresso
nel mondo vivo, non è agevole, e deve seguire un cammino obbligato, intricato,
chiarito solo in questi ultimi anni.
Il nostro atomo di carbonio
viaggiò dunque, col lento passo dei succhi vegetali, dalla foglia per il
picciolo e per il tralcio fino al tronco, e di qui discese fino a un grappolo
quasi maturo. Quello che seguì è di pertinenza dei vinai: a noi interessa solo
precisare che sfuggì (con nostro vantaggio, perché non lo sapremmo ridurre in
parole)alla fermentazione alcoolica, e giunse al vino senza mutare natura.E’
destino del vino essere bevuto, ed è destino del glucosio essere ossidato. Ma
non fu ossidato subito: il suo bevitore se lo tenne nel fegato per più di una
settimana, bene aggomitolato e tranquillo, come alimento di riserva per uno
sforzo improvviso; sforzo che fu costretto a fare la domenica seguente,
inseguendo un cavallo che si era adombrato.
Addio alla struttura esagonale:
nel giro di pochi istanti il gomitolo fu dipanato e ridivenne glucosio, questo
venne trascinato dalla corrente del sangue fino ad una fibrilla muscolare di
una coscia, e qui brutalmente spaccato in due molecole di acido lattico, il
tristo araldo della fatica: solo più tardi, qualche minuto dopo, l’ansito dei
polmoni poté procurare l’ossigeno
necessario ad ossidare con calma quest’ultimo. Così una nuova molecola di
anidride carbonica ritornò all’atmosfera, ed una parcella dell’energia che il
sole aveva ceduta al tralcio passò dallo stato di energia chimica a quello di
energia meccanica e quindi si adagiò nell’ignava condizione di calore,
riscaldando impercettibilmente l’aria smossa dalla corsa e il sangue del
corridore.
Siamo di nuovo anidride
carbonica: è un passaggio obbligato. Di nuovo vento, che questa volta porta
lontano: supera gli Appennini e l’Adriatico, la Grecia l’Egeo e Cipro: siamo
sul Libano e la danza si ripete. L’atomo di cui ci occupiamo è ora intrappolato
in una struttura che promette di durare a lungo: è il tronco venerabile di un
cedro, uno degli ultimi; è ripassato per gli stadi che abbiamo già descritti,
ed il glucosio di cui fa parte appartiene, come il grano di un rosario, ad una
lunga catena di cellulosa.
Dopo vent’anni (siamo nel 1868)
se ne occupa un tarlo. Ha scavato la sua galleria fra il tronco e la corteccia,
con la voracità cieca e ostinata della sua razza; trapanando è cresciuto, il
suo cunicolo è andato ingrossando. Ecco, ha ingoiato e incastonato in se stesso
il soggetto di questa storia; poi si è impupato, ed è uscito in primavera sotto
forma di brutta farfalla grigia che ora si sta asciugando al sole,frastornata e
abbagliata dallo splendore del giorno: lui è là , in uno dei mille occhi
dell’insetto, e contribuisce alla visione sommaria e rozza con cui esso si
orienta nello spazio. L’insetto viene fecondato, depone le uova e muore:il
piccolo cadavere giace nel sottobosco, si svuota dei suoi umori, ma la corazza
di chitina resiste a lungo, quasi indistruttibile. La neve e il sole ritornano
sopra di lei senza intaccarla: è sepolta dalle foglie morte e dal terriccio, è
diventata una spoglia, una “cosa”, ma la morte degli atomi, a differenza della
nostra, non è mai irrevocabile.
Ecco al lavoro gli onnipresenti,
gli instancabili e invisibili becchini del sottobosco, i microrganismi
dell’humus. La corazza, con i suoi occhi ormai ciechi, è lentamente
disintegrata, e l’ex bevitore, l’ex cedro, ex tarlo, ha nuovamente preso il
volo (sotto forma di anidride carbonica).
Lo lasceremo volare per tre volte
intorno al mondo, fino al 1960, ed a giustificazione di questo intervallo così
lungo rispetto alla misura umana faremo notare che esso è assai più breve della
media: questa, ci si assicura, è di duecento anni.
L’anidride carbonica, la forma
aerea del carbonio di cui abbiamo finora parlato, e che costituisce la materia prima della
vita, non è uno dei componenti principali dell’aria,bensì un rimasuglio
ridicolo, un’”impurezza” trenta volte meno abbondante dell’argon di cui nessuno
si accorge. L’aria ne contiene lo 0,03 %: se l’Italia fosse l’aria, i soli
italiani abilitati ad edificare la vita sarebbero ad esempio i 15000 abitanti
di Milazzo, in provincia di Messina. Questo, in scala umana, è un’acrobazia
ironica, uno scherzo da giocoliere,una incomprensibile ostentazione di
onnipotenza-prepotenza, poiché da questa sempre rinnovata impurezza dell’aria
veniamo noi: noi animali e noi piante, e noi specie umana, coi nostri quattro
miliardi di opinioni discordi, i nostri millenni di storia, le nostre guerre e
vergogne e nobiltà e orgoglio.
Ogni duecento anni, ogni atomo di
carbonio che non sia congelato in materiali ormai stabili (come appunto il
calcare, o il carbon fossile, o il diamante, o certe materie plastiche) entra e
rientra nel ciclo della vita, attraverso la porta stretta della fotosintesi.
Esistono alte porte? Sono porte
ancora molto più strette di quella del verde vegetale: consapevolmente o no,
l’uomo non ha cercato finora di competere con la natura su questo terreno,e
cioè non si è sforzato di attingere, dall’anidride carbonica dell’aria, il
carbonio che gli è necessario per nutrirsi, per vestirsi, per riscaldarsi, e
per i cento altri bisogni più sofisticati della vita moderna. Non lo ha fatto
perché non ne ha avuto bisogno: ha trovato, e tuttora trova (ma per quanti
decenni ancora?) gigantesche riserve di carbonio costituite dai giacimenti di
carbon fossile e di petrolio: ma anche questi sono eredità di attività
fotosintetiche compiute in epoche lontane, per cui si può bene affermare che la
fotosintesi non è solo l’unica via per cui il carbonio si fa vivente, ma anche
la sola per cui l’energia del sole si fa utilizzabile chimicamente.
Si può dimostrare che questa
storia, del tutto arbitraria, è tuttavia vera. Potrei raccontare innumerevoli
storie diverse, e sarebbero tutte vere: tutte letteralmente vere, nella natura
dei trapassi, nel loro ordine e nella loro data.
Il numero degli atomi è tanto
grande che se ne troverebbe sempre uno la cui storia coincida con una qualsiasi
storia inventata a capriccio. Potrei raccontare storie a non finire, di atomi
di carbonio che si fanno colore o profumo nei fiori; di altri che da alghe
minute a piccoli crostacei, a pesci via via più grossi, ritornano anidride
carbonica nelle acque del mare, in un perpetuo spaventoso girotondo di vita e
di morte.